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  • Writer's pictureFabrizio Pressi

Capitani coraggiosi


Oggi vorrei parlare con voi di una delle emozioni più difficili da gestire: LA PAURA.


Anche solo nominarla a volte fa paura. Non se ne vuole parlare.


La parola deriva dal latino “pavor” (aver timore) ed il dizionario Treccani ne dà la seguente definizione:


Stato emotivo consistente in un senso di insicurezza, di smarrimento e di ansia di fronte a un pericolo reale o immaginario o dinanzi a cosa o a fatto che sia o si creda dannoso: più o meno intenso secondo le persone e le circostanze, assume il carattere di un turbamento forte e improvviso, che si manifesta anche con reazioni fisiche, quando il pericolo si presenti inaspettato, colga di sorpresa o comunque appaia imminente (cit)


La paura è una delle cinque emozioni primarie che tutti gli individui provano durante la loro vita.


Potremmo inoltre definirla l’emozione principe. Quasi tutti gli stati emotivi che creano conflitto all’interno di un individuo possono essere collegate alla paura: esempi possono essere la paura di non farcela in una situazione, la paura di non essere all’altezza, la paura di morire.


Eppure, se scaviamo un poco più a fondo, rispetto allo stato emotivo che la paura stessa ci fa provare, possiamo renderci conto che senza la paura, la vita sarebbe difficile da affrontare.


Se abbiamo paura di qualcosa, significa che ci tocca nell’intimo, che quella cosa è per noi importante, al punto da scuoterci nel profondo e farcela affrontare con le dovute precauzioni.


Inoltre, senza lo stimolo intenso che la paura ci provoca, non sapremmo riconoscere ed in caso affrontare anche problemi seri che possano mettere in pericolo la nostra sopravvivenza.


Persino il nostro sistema nervoso lavora in maniera autonoma riguardo la possibilità di farci male e non ci permette di svolgere determinati movimenti.


Vi porto un esempio a riguardo scollegato con l’emozione paura ma intrinsecamente collegato con ciò che vi stavo cercando di dire. Prendiamo un semplice esercizio di stretching, qualunque.


Spesso si ritiene che determinati allungamenti non siano fattibili perché “noi siamo legati” o ancora “non abbiamo sufficiente elasticità” e quando proviamo ad allungarci in posizioni che non svolgiamo tutti i giorni, i nostri muscoli ad un certo punto non ci permettono di andare oltre. Sentiamo tensione.


Si è soliti pensare che questo avvenga perché serve lavorare sull’allungamento del muscolo e che facendo stretching lo stesso sia sottoposto a trazione e che continuando la stessa con regolarità si possa raggiungere un allungamento maggiore. In parte ciò è vero, in parte assolutamente no.


Interviene, in maniera inconscia il nostro sistema nervoso centrale, il quale “ha paura” che ci si possa far male, e ciò è dovuto principalmente perché in massima estensione la forza muscolare è minima ed essendo tale, la muscolatura non sarebbe in grado di reggere l’ossatura portante, rischiando lesioni al corpo. Le lesioni sono “potenzialmente” ed “evolutivamente”, per il nostro corpo, pericolosamente mortali. Con una lesione potremmo non poter più correre, camminare, scappare da un pericolo. Insomma saremmo molto più esposti e vulnerabili. Ecco che quindi il nostro sistema nervoso invia uno stimolo alla muscolatura contraendola e non permettendoci un allungamento maggiore, perché percepiamo tensione. A riprova di ciò che vi sto dicendo si può portare il caso delle anestesie totali, durante le quali i medici, nell’eventualità che si debba spostare il paziente, devono prestare enorme attenzione al movimento degli arti perché escludendo il lavoro del sistema nervoso centrale sono molto più probabili lussazioni o altri danni alle articolazioni. Adesso sarete curiosi e vi starete chiedendo: “quindi come faccio a raggiungere gradi di estensione corporea maggiori?”. Bypassando il sistema nervoso centrale, portando l’arto (ad esempio) in massima estensione possibile e poi lavorando sulla forza alla massima estensione. In questo modo facciamo due cose: la prima diciamo al cervello che tutto sommato possiamo non farci male lavorando in quella posizione, la seconda rendiamo più forte la muscolatura la quale essendo più forte tenderà a reggere di più in quel movimento e quindi il sistema nervoso centrale sposta l’asticella del “pericolo” più avanti. E così via.


Ora torniamo all’emozione paura. Siamo di nuovo lì, stessa analogia. Dobbiamo imparare a convivere con la paura, se vogliamo essere più forti ed in grado di mettere in campo soluzioni che portino ad affrontare il pericolo (vero o immaginario che sia).


La paura d’altronde è lo stimolo per la fuga, per la lotta. Non sapremmo lottare, non conoscessimo la paura.


Dico spesso a mio figlio, quando ha paura di qualcosa e quindi ha la reazione di non affrontarla, che ciò che ci rende forti non è non aver paura, bensì saper trovare il coraggio di affrontare tale paura.


Siate quindi coraggiosi nella vita.


Un’ultima considerazione che ci può aiutare a riguardo è il fatto che la paura è un’emozione che ci proietta nel futuro. Immaginiamo (soprattutto quando abbiamo paura di cose non immediate: esempio l’attacco di una belva feroce) scenari possibili e possibili strategie di attacco (verbale, fisica ecc..) ed il nostro cervello non distingue l’emozione come indotta da fattori esterni o provocata da noi stessi. Esso reagisce allo stesso modo ed il cortisolo viene prodotto in equal misura.


Proviamo a non farci prendere dalle emozioni, proviamo a non essere schiavi di esse. Riportiamo l’attenzione al respiro, al qui ed ora. Un respiro per volta. Riportiamo l’attenzione al presente. In tal modo ci alleneremo (come abbiamo visto per i muscoli) a convivere con gli stati d’animo, ad essere forti e coraggiosi. E saremo persone più consapevoli, anche accettando che a volte: abbiamo paura.

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